lunedì 12 luglio 2010

Cosa unisce Carlo Levi a d’Annunzio?


«Volente o nolente ciò che accomuna gli autori analizzati è l’aver messo l’accento sulla futilità del pensiero e dell’azione umana».
È questa la tesi sviluppata da Donato Sperduto, lo studioso di letteratura che con l’opera Maestri futili? ha accostato Gabriele d’Annunzio, Carlo Levi, Cesare Pavese e il filosofo Emanuele Severino, per cogliere le affinità che uniscono i quattro autori sul tema della futilità. L’opera si apre con la comparazione tra le opere di Levi Paura della Libertà e Quaderno a cancelli con il modo di affrontare il problema dell’apparire e quello della libertà da parte di Severino. Le analogie con il pensiero del filosofo, secondo Sperduto, sono palesi: entrambi si oppongono alla concezione classica del tempo e ritengono che, al di sotto del tempo meccanico, esista il tempo vero, immagine di un «fluire eterno» per Levi e di un «apparire e scomparire dell’eterno» per Severino. Nel capolavoro di Levi, Cristo si è fermato a Eboli, ci sarebbe poi un riferimento costante a d’Annunzio: Levi, sostiene Sperduto, reinventa temi dannunziani come quelli della Figlia di Iorio e della Fiaccola sotto il moggio, anche se critica in d’Annunzio il fatto che il poeta pescarese degradi quel mondo immobile a teatro e strumento retorico di una vicenda personale. C’è poi un parallelismo tra il Quaderno a cancelli (così intitolato perché Levi si serviva di una tavoletta con una rete dentro le cui caselle poteva tracciare le lettere) che scrisse nel buio della cecità in seguito ad un’operazione e il Notturno, composto da d’Annunzio su piccoli foglietti di carta dopo aver subito un grave danno all’occhio destro durante l’occupazione di Fiume. Sperduto però, dopo l’analisi di tutti questi parallelismi, riconosce che «per l’esattezza, solo Pavese e Levi parlano esplicitamente di futilità». Carlo Levi lo fa nel già citato Quaderno a cancelli, vedendo nella futilità il punto di partenza di ogni determinazione umana, nel «fluire dell’indistinto originario» di Paura della libertà o riferendosi alla descrizione del «Pantano» nel Cristo. La tesi finale del libro è che, sebbene questi scrittori intendano in modo non uniforme l’ambiguo concetto di futilità, la vera alternativa alla crisi dell’uomo contemporaneo non può che essere rappresentata dal pensiero futile. Con questi saggi Sperduto intende dunque lanciare una sfida consistente nell’avere il coraggio di tener conto della futilità basandosi sull’etimologia del termine che significa «lasciar correre».
Donato Sperduto, Maestri futili?, Aracne, € 11, pp. 144.

2 commenti:

sante ha detto...

Queste novità arrivano o non arrivano?

Anonimo ha detto...

Libro davvero originale e approfondito.

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