mercoledì 27 giugno 2012

Nuova recensione Cineland. I giorni della vendemmia di M. Righi

I giorni della vendemmia
di Marco Righi
con Lavinia Longhi, Marco D’Agostin, Gian Marco Tavani, Maurizio Tabani, Claudia Botti
80 min, Italia, 2010

È un buon esordio quello di Marco Righi. Il suo I giorni della vendemmia,  film che prima ha ottenuto riconoscimenti fuori dall’Italia e che ora viene presentato in giro per le piccole sale d’essai della penisola, si lascia guardare dall’inizio alla fine, pur mettendo a nudo numerose “ombre” comunque intervallate da impennate stilistiche e/o narrative degne di nota.

Si parte subito bene con una decina di minuti di riuscito affresco emiliano. L’opera è infatti ambientata nell’estate del 1984 in una casa della campagna reggiana (il regista è di San Polo d’Enza, provincia di Reggio Emilia) animata da una madre beghina, da un padre berlingueriano, una nonna silenziosa e arguta (il personaggio di contorno più riuscito) e un figlio sedicenne che ascolta dischi, fuma di nascosto e si masturba (rigorosamente in bagno, di spalle). Già dalle prime scene, caratterizzate da un’interessante dilatazione dei tempi narrativi, impariamo a conoscere i personaggi e soprattutto ad immedesimarci nel gracile adolescente Elia (Marco D’Agostin), la cui occupazione è quella di raccogliere l’uva dai filari di famiglia. (Attività quasi subito interrotta dall’arrivo della nonna che prima si fa dare un bacio e poi lo rimprovera dolcemente in dialetto reggiano: “Dam un bes” e, ancora, “Mo vienmi a trovare più spesso”. Chi non si è mai sentito dire queste parole?). Fin qui tutto bene. Anzi, considerando che il film è a budget irrisorio e girato in sole due settimane, il termine corretto da utilizzare sarebbe “sorprendente”: buoni i movimenti di macchina (soprattutto quelli che valorizzano gli ambienti in cui si muovono i personaggi), buona la recitazione, ottima la fotografia (Alessio Valori) e le musiche (Roberto Rabitti), buona la caratterizzazione e la valorizzazione dei personaggi.  Fortunatamente questo è il trend dell’intera pellicola, che però comincia a mettere a nudo i primi problemi di natura narrativa a partire dal momento in cui entra in scena Emilia (Lavinia Longhi), spudorata universitaria figlia di amici che si vuole procurare un po’ di soldi offrendo il proprio aiuto al padre di Elia per la vendemmia.

Bella e spudorata, Emilia non solo sconvolge la quotidianità dell’imberbe Elia, facendogli scoprire la tensione sessuale (nulla di più), ma anche l’intero film. Da qui, infatti, la struttura della sceneggiatura comincia a scricchiolare pericolosamente, pur non cadendo mai. Cos’è dunque che disattende le premesse del bell’inizio? Un dubbio, che si fa strada a partire dall’entrata in scena di Emilia, personaggio straripante, quasi sempre sopra le righe e poco armonizzato con il contesto in cui comincia a muoversi. Tutto dipende dalle sue battute, quasi sempre eccessive e per questo delineanti un personaggio che è quasi un “corpo estraneo” rispetto alla narrazione. È a causa sua che, quasi per uno strano effetto domino, comincia a sorgere il dubbio che quello che stiamo guardando, in realtà, non sia ambientato nel 1984. Il problema ora riguarda ciò che stiamo osservando, non più come ci viene proposto. Per stessa ammissione del regista le letture che lo hanno influenzato sono state quelle di Pier Vittorio Tondelli (il film si apre con una citazione tondelliana, il protagonista legge “Altri Libertini” e il fratello maggiore è una sorta di alter ego del reale PVT), Enrico Palandri e Gianni Celati. Tutti autori che hanno sì operato negli anni Ottanta ma che, soprattutto nelle loro prime opere, hanno raccontato gli ultimi anni del decennio precedente. Ed è proprio dagli anni Settanta che sembrano uscire questi personaggi: pur avendo una carica sessuale più reazionaria che rivoluzionaria, Emilia che “viene dalla città” sembra essere distante anni luce dalla cultura delle discoteche e dei locali in cui impazzava il new romantic, la new wave o il punk dei CCCP mirabilmente descritto da Tondelli nel suo “Weekend postmoderno”; Samuele (Gian Marco Tavani), fratello maggiore di Elia, sembra appena uscito dal ’77, con i suoi capelli lunghi, le canne (negli anni ottanta impazzava la coca. Chiedere ad Ellis che nel 1984 scriveva Less Than Zero) e un’identita gay troppo poco tormentata; infine una serie di tributi a pellicole di fine anni Settanta, come Novecento di Bertolucci (1976, per il tema della masturbazione e il contesto), Taxi Driver di Scorsese (1976, per il monologo del protagonista all’interno dell’auto),  ecc. Degli anni Ottanta resta solo un’azzeccatissima polo Lacoste indossata dal protagonista nel finale.

La sensazione è che Righi sia rimasto parzialmente vittima del suo slancio creativo. Quasi come se un’urgenza lo abbia spinto ad avere a tutti i costi una storia (certo, che funziona, e con qualche spunto simpatico e interessante) per poter dimostrare il prima possibile cosa avrebbe potuto fare con la macchina da presa. Peccato, perché con una sceneggiatura un po’ più attenta l’esordio sarebbe potuto essere notevole. Ora, la vera sfida è quella di parlare della campagna, la nostra magnifica campagna emiliana, magari quella che sta ai piedi delle colline dell’Appennino, con una storia maggiormente sobria e delicata, ambientata nella contemporaneità.

P.s. Come al solito finale stucchevole e scontato. Ma ormai è la prassi.

Voto: 2 su 5

(Film visionato il 26 giugno 2012)

sabato 9 giugno 2012

Il Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia: gli ultimi giorni


Ancora poche occasioni per partecipare alla settima edizione di Fotografia Europea, il festival che ogni anno rende la città di Reggio Emilia una delle capitali europee della cultura.
La rassegna, partita già da un mese, ha avuto inizio il giorno 11 maggio con una serie di conferenze, workshop e spettacoli, tutti basati sulla sinergia esistente tra immagine, musica e cultura pop.
Varie mostre, dedicate a oltre 400 fotografi e distribuite tra 250 sedi istituzionali e molti altri luoghi pubblici e privati, rimangono aperte sino al 24 giugno, ultimo giorno del festival.
Il tema scelto per questa edizione è Vita comune. Immagini per la cittadinanza e tra gli autori di rilievo si contano Peter Bialobrzeski, Pierre Bourdieu, Philip Townsend e gli italiani Federico Patellani e Massimo Vitali.
Agli appassionati certo non sarà sfuggita la monumentale esposizione Des Européens, che raccoglie gli scatti realizzati dal grande fotografo Henri Cartier-Bresson tra il 1929 e il 1991 nel corso dei suoi viaggi attraverso il continente europeo.
Le fotografie, tutte in bianco e nero, restituiscono un intenso ritratto dell’Europa a partire dal primo dopoguerra, mostrando i suoi paesaggi e abitanti in momenti e fasi storiche diverse, mettendo in questo modo in evidenza le molte differenze, ma anche le profonde analogie, presenti tra i paesi attraversati.
"Un pellegrino appassionato", così Cartier-Bresson viene definito da Jean Clair nel 1998: "seguendo il battito di un cuore avventuroso, palpitante, ritorna sempre alla sua Europa fatta di antiche mura. Dall’Austria al Portogallo, dalla Svezia alla Turchia, dalla Lapponia all’Irlanda, per mezzo secolo ha colto con il suo sguardo l’immagine di un territorio che nel corso degli anni, dal Piano Monnet al Trattato di Maastricht, è diventata il nostro".


Da non perdere è anche la mostra La pace impossibile a Palazzo Magnani, una rassegna di ben 160 scatti eseguiti dal fotografo Don McCullin sui più strazianti scenari dei conflitti bellici e delle tragedie umanitarie del secolo scorso.
Si parte da immagini che testimoniano la costruzione del Muro di Berlino (1961), lo scontro tra Greci e Turco-Ciprioti a Cipro (1964), la guerra in Congo (1964), la guerra del Vietnam (dal 1965 al 1968), la guerra civile in Biafra (1968-69), fino ai massacri di Sabra e Shatila (1982), i lebbrosi dell’India (1995-97) e le vittime dell’Aids nell’Africa meridionale (2000).
A queste immagini si aggiungono anche quelle di una pace abitata dal conflitto, tra cui l’impietoso ritratto della contraddittoria società inglese delle gang e dei Teddy-Boys, dei senzatetto e delle ricche corse equestri ad Ascot, le nature morte e la desolata campagna inglese fotografata sempre e solo nel periodo invernale, quando la pioggia e il gelo si accaniscono sulla natura e la luce non filtra che da qualche rado spiraglio tra le nubi.

Il tutto accompagnato da didascalie estratte dai suoi molti libri, capaci di dare forma alla figura di un artista che disdegna l'ormai abusata etichetta di fotografo di guerra, percepita come infamante, e che concepisce il suo lavoro come una missione, tanto dolorosa quanto necessaria, per comunicare al mondo gli orrori e le brutture di cui è testimone e che altrimenti cadrebbero nell'oblio: "Il mio scopo è mostrare la vergogna insita nella distruzione di esseri umani che non hanno commesso nessun crimine, non hanno nessuna colpa. Volevo ritrarre la dignità del loro dolore".  "Qualcosa stava succedendo e dovevo esserci. Ecco quello che ho sempre cercato di fare: esserci".

Il calendario completo del Festival
Fotografia Europea è anche su Twitter

domenica 3 giugno 2012

Nuova recensione Cineland. Cosmopolis di D. Cronenberg

Cosmopolis
di David Cronenberg
con Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Paul Giamatti, Mathieu Almaric
Drammatico, 105 min., Canada, Francia, 2012

Non ho voglia di perdere troppo tempo nello scrivere di un film come questo. Mi limiterò pertanto ad argomentare, per punti, le ragioni di una disfatta partendo da una domanda che penso molti ammiratori del regista abbiano formulato durante e dopo la visione.

Cronenberg, cosa ti abbiamo fatto per meritarci questo?

Regia

Quasi due ore di campo/controcampo. Per il resto un’accozzaglia di scene, di cui almeno tre stucchevoli: l’esame della prostata a cui si sottopone l’ansimante protagonista e due scene di sesso fatte talmente male che la pornografia in confronto è più poetica. Mi chiedo perché DeLillo abbia affermato, in un’intervista concessa alla «Repubblica» circa due settimane fa, che la trasposizione del suo romanzo lo soddisfa. Spero stesse scherzando o che, almeno, l’abbia fatto per soldi.

Tema

Non voglio generalizzare e/o dire inesattezze ma, a logica, il tema trattato dal film (e quindi dal libro, v. riferimento alle dichiarazioni di DeLillo) mi sembra un tantino sorpassato. Critica al capitalismo? Ok, c’è. Ma qui siamo a livello di “fiumi di parole”, contro buoni trattamenti metaforici (e la metafora e i correlativi oggettivi al cinema sono tutto, più dei dialoghi) messi in scena ben prima rispetto a queste opere: per un romanzo Cosmopolis del 2003 c’è un American Psycho del 1991 (!); per un film Cosmopolis del 2012 c’è un Wall Street (1987), un Wall Street - Il denaro non dorme mai (2010) e uno Shame (2011) che, in modo più o meno diretto, mettono a nudo le contraddizioni socio-economiche del capitalismo sotto molteplici e ben più riusciti punti di vista.

Attori

Stendiamo un velo pietoso sulla prova di Pattinson, capace solo di smorfie vampiresche. La Binoche è la seconda vera delusione. Un’attrice di primo livello avrebbe rifiutato di girare una scena così inutile e imbarazzante.

P.s. Quatto persone hanno lasciato la sala (mezza deserta, del multiplex più importante di Parma) prima della fine del film. Due hanno trovato subito la via d’uscita. Gli altri, quasi intrappolati, hanno vagato per la sala tradendo visibili segnali d’insofferenza. Effetti del film.

Voto: 1/5

(Film visionato il 2 giugno 2012)
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