lunedì 30 settembre 2013

Nuova recensione Cineland. Bling Ring di Sofia Coppola

Bling Ring 
di Sofia Coppola 
con Katie Chang, Israel Broussard, Emma Watson, Taissa Farmiga 
Drammatico, 87 min., USA 2013 


Los Angeles. Un gruppo di ragazzi ruba abbigliamento e gioielli dalle case dei Vip per un valore di tre milioni di dollari. Vengono condannati e incarcerati. 

Il film si presenta come una “Sofia Coppola’s version” dei fatti ricostruiti da un articolo di Nancy Jo Sales pubblicato su Vanity Fair con il titolo evocativo The Suspects Wore Loboutins (I sospetti indossavano Loboutins). Un mockumentary? No. E forse è questo il problema. Perché abbiamo sulla scena una mezza dozzina di ragazzetti (ottima ancora una volta, dopo Noi siamo infinito, Emma Watson) che non conosceremo mai fino in fondo (e questo, in un film di fiction, è peccato mortale). Sapremo solo che hanno tutto e che, nonostante questo, vogliono sentirsi almeno una volta come i Vip che idolatrano. Colpa delle famiglie poco presenti? Sì. Colpa della loro condizione sociale di privilegiati viziati e annoiati? Anche. Colpa dei media che esaltano la vita “al massimo” di Vip indecenti e impenitenti? La Coppola sembra dirci anche questo e, durante la visione, emerge un intento moralistico che sinceramente speravamo di non trovare

Quel che è peggio è che, benché il film si riveli tecnicamente ineccepibile, si nota da subito che manca il ritmo, le accelerazioni, l’appeal e l’empatia per i personaggi che avevamo trovato in romanzi e pellicole ben più datate. Per questo il film ci sembra sorpassato (ben lontano dagli esiti di Spring Breakers), una sorta di lontano parente di Less Than Zero con in più Facebook ma senza quell’atmosfera “maledetta” che pervadeva il romanzo ellisiano e che anche la scarsa trasposizione di Marek Kanievska (conosciuto in Italia con il titolo di Al di là di tutti i limiti) era riuscita ad abbozzare. 

La sensazione è che il minimalismo della Coppola sia molto più adatto a sviluppare trame dai connotati esistenzialisti (v. Lost in Translation e Somewhere), meno a cimentarsi nelle rivistazioni di fatti realmente accaduti (v. Marie Antoniette). 

Voto: 2 su 5 

(Film visionato il 28 settembre 2013)

mercoledì 25 settembre 2013

Nuova recensione Cineland. The Grandmaster di W. Kar-wai

The Grandmaster 
di Wong Kar-wai 
con Tony Leung, Zhang Ziyi, Cung Le 
Biografico, 123 min., Cina, Hong Kong, 2013 

La cifra stilistica di Wong Kar-wai è inconfondibile. Immagini leggermente rallentate costruiscono epiche scene di raccordo, una storia d’amore che non si risolve innerva la narrazione nobilitandola, la costruzione dell’inquadratura rasenta la perfezione. Grazie all'abilità del regista seguiamo qui la storia di Ip Man (interpretato da un bravissimo Tony Leung), primo maestro dell’arte marziale Wing Chun. Per intenderci, tra i suoi allievi figurava il giovanissimo Bruce Lee. Il film non segue però la formazione del suo più celebre allievo, quanto la vita travagliata del maestro, che fu al centro di una disputa per succedere al maestro Gong Baosen e protagonista di alterne fortune durante la guerra cino-giapponese che sconvolse il paese ad inizio Novecento. 

I giochi di luce, il turbinio controllato dei sentimenti (l’amore, la morte, la sconfitta) e l’aver scelto come coreografo dei combattimenti Yuen Wo Ping (che ricordiamo per Matrix e Kill Bill) determinano uno sviluppo della narrazione che è come una sinfonia. Similitudine avvalorata dal lirismo che il regista conferisce al cuore della propria opera ancora una volta grazie ad un brano indimenticabile. In In the Mood for Love era Yumeji's Theme, qui è lo Stabat Mater di Stefano Lentini. La musica rimane così nella nostra mente sottolineando i movimenti perfetti dei combattimenti che sembrano quasi balletti con il loro occupare gli spazi in maniera perfetta e il loro sfruttare fino in fondo gli elementi: l’acqua che cade dal cielo, la neve che copre la terra, il legno che riempie gli edifici. Wong Kar-wai ci insegna che l’individuo è al centro dello spazio e che nelle arti marziali si fonde col tutto, perché tutto sente (è l’avvertire lo spostamento d’aria di un pugno sull’abito che ti permette di parare il colpo). Così è anche l’amore. 

Voto: 3 ½ su 5 

(Film visionato il 21 settembre 2013)

sabato 21 settembre 2013

Nuova recensione Cineland. Rush di Ron Howard

Rush 
di Ron Howard 
con Chris Hemsworth, Daniel Bruhl, Olivia Wilde, Pierfrancesco Favino 
Drammatico/Biografico, 123 min., USA, GB, Germania, 2013 

Il film concentra l’attenzione sulla rivalità tra l’austriaco Niki Lauda e l’inglese James Hunt, due piloti automobilistici agli antipodi. Il primo, soprannominato “computer” per la sua capacità di sentire ogni centimetro quadrato della monoposto, era razionale e determinato. Il secondo, playboy dedito all’alcol e alle droghe, molto più impulsivo ed emotivo. Furono i protagonisti di uno dei più avvincenti campionati mondiali di Formula 1 che si siano mai visti. La stagione 1976, che si era aperta con un netto predominio dell’austriaco, aveva infatti visto lo stesso essere protagonista di un incidente al Nurburgring che lo ridusse in fin di vita e che permise ad Hunt di recuperare terreno in classifica. Lauda si rimise in gioco a soli 42 giorni dall’incidente centrando un incredibile quarto posto. La stagione si decise all’ultimo Gran Premio, con colpo di scena

Ron Howard porta sullo schermo una sceneggiatura di Peter Morgan (The Queen, Hereafter) che si concentra sull’amicizia umana e rivalità sportiva di due anime “dannate” e diametralmente opposte della storia della Formula 1. Ne esce un film che è puro intrattenimento, dove più di una battuta e inquadratura rimarcano la differenza tra il modo di vivere il mondo delle corse (che diventa metafora della visione della vita) di Lauda e quella del rivale di sempre nonché “amico ritrovato” Hunt. Ci si perde poco nei dettagli, preferendo ricostruire le battaglie in pista con gli effetti speciali e circondando i due protagonisti di personaggi un po’ troppo stereotipati. Ciò che preme a Howard e Morgan è mettere al centro dell’attenzione il rapporto tra i due protagonisti per la ricostruzione di un pathos che nel film, in ultima analisi, è ben presente e che la F1 contemporanea farebbe bene a ritrovare

Voto: 3 su 5 

(Film visionato il 16 settembre 2013 all’Electric Cinema di Portobello Road. Se siete amanti del cinema e vi capita di passare da Londra…)

mercoledì 4 settembre 2013

Remember Us. Possession, Il falò delle vanità, Ancora vivo, L'amore è una cosa meravigliosa...

Possession 
di Andrzej Zulawski 
con Isabelle Adjani, Sam Neill, Heinz Bennent 
Drammatico/Horror, 123 min., Francia/Germania Ovest, 1981 
*** ½ 

Per David Lynch il film “più completo degli ultimi trent’anni” (lo diceva al Festival di Venezia 2006). Può essere. Noi ci abbiamo visto una storia morbosa, malata, angosciante e angosciosa, tutto sommato completa. Certo, di difficile interpretazione. Ma il Male, spesso, non si comprende fino in fondo ed è forse per questo che è così affascinante.

Ancora vivo 
di Walter Hill 
con Bruce Willis, Bruce Dern, Christopher Walken, William Sanderson 
Noir/Gangster, 101 min., USA, 1996 
*** 

Film dall’eccezionale impatto visivo e dal buon impianto narrativo (supervisione di Kurosawa). Uno sconosciuto arriva in una città di confine tra Messico e Texas e lì viene conteso da due bande rivali a causa della sua eccezionale abilità nell’uso delle pistole. La cittadina, stritolata dalle due fazioni, lentamente si spopola e lo straniero John Smith (un buon Bruce Willis), che fa il doppio gioco, dovrà sfruttare al meglio le sue potenzialità di pistolero per sopravvivere. Crudo e spietato, il film si sviluppa così tra duelli all’ultima cartuccia che esaltano lo spettatore e gli fanno capire da dove vengono (forse) certe scene del recente Django di Tarantino.

Gli uccelli 
di Alfred Hitchcock 
con Tippi Hedren, Rod Taylor, Jessica Tandy 
Thriller, 120 min., USA, 1963 
*** 

La storia si capisce già dal titolo: gli uccelli attaccano gli uomini. Perché? Il mistero rimane. Hitchcock era maestro in questo e, detto sinceramente, solo lui avrebbe potuto fare un film di questo tipo evitando di dare vita ad una storia senza senso. E’ eccezionale, poi, pensare e leggere degli effetti speciali realizzati, delle decine e decine di uccelli ammaestrati, degli incidenti sul set causati dai volatili, spesso cattivi con gli attori. Forse è per questo che la paura sembra reale. Film aperto a mille interpretazioni (c’è in esso una strana magia alla quale si riesce difficilmente a dare un nome) che inizia però a risentire del passare del tempo.

Il falò delle vanità 
di Brian De Palma 
con Tom Hanks, Bruce Willis, Melanie Griffith 
Commedia/Drammatico, 126 min., USA, 1990 
** ½ 

La cifra stilistica dei film hollywoodiani di fine anni Ottanta inizio anni Novanta era il gusto per l’eccesso, che ora indichiamo usando senza remore la parola kitsch. Qui la storia, che vuole mettere a nudo le ipocrisie dell’alta società newyorkese (politica e economica), è resa con una recitazione mai doma, sempre sopra le righe (da parte di tutti gli attori), e con soluzioni registiche tanto geniali (come il bellissimo piano sequenza iniziale) quanto stucchevoli (la lettura del verdetto nel finale).

L’amore è una cosa meravigliosa 
di Henry King 
con William Holden, Jennifer Jones 
Romantico, 102 min., USA, 1955 
** 

Film sicuramente da vedere. Non tanto per la storia (anzi), quanto perché dimostra in modo eccellente cosa fosse Hollywood negli anni ’50. Qui abbiamo una dottoressa euroasiatica vedova (Jennifer Jones) che si dedica anima e corpo al lavoro in un ospedale di Hong Kong. Fino a quando incontra un corrispondente inglese (William Holden) di cui si innamorerà follemente. Come andrà a finire? Chi ha visto Come un uragano (di G.C. Wolfe, con Richard Gere e Diane Lane) se le può immaginare. Ci sono le scenografie a colori pastello, i dialoghi zuccherosi, la banalità dei sentimenti, la rimarcata superiorità degli "occidentali" sui popoli asiatici. Sotto sotto, però, nonostante la pochezza dell’intreccio, la storia funziona. Celebre la colonna sonora scritta da Webster e da Sammy Fain, poi ripresa da Sinatra e Nat King Cole.

L’amico di famiglia 
di Paolo Sorrentino 
con Giacomo Rizzo, Fabrizio Bentivoglio, Laura Chiatti 
Grottesco, 110 min., Italia, 2006 
** 

Terzo lungometraggio di P. Sorrentino che funge da preludio alle opere successive. C’è la maestria tecnica che sarà del Divo, lo scollamento tra scene della Grande bellezza, i dialoghi per frasi fatte di This Must Be the Place. Ne risulta un film a tratti eccessivo a tratti minimale perciò sempre troppo poco armonico ed omogeneo.
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