martedì 30 dicembre 2014

Nuova recensione Cineland. L'amore bugiardo - Gone Girl di David Fincher


L’amore bugiardo – Gone Girl 
di David Fincher 
con Ben Affleck, Rosamund Pike, Neil Patrick Harris, Tyler Perry 
Thriller, 149 min., USA, 2014 

Amy (Rosamund Pike) e Nick (Ben Affleck) sono giovani, belli, affiatati. Apparentemente una coppia perfetta. Dopo aver vissuto a New York si sono trasferiti in Missouri per stare vicini alla madre di Nick, gravemente malata. Insieme hanno sconfitto la crisi economica del 2009 che ha minato le loro finanze e, insieme, hanno riorganizzato la loro vita in provincia. Ma il giorno del loro quinto anniversario Amy scompare nel nulla. Nick non sembra particolarmente preoccupato ma segnala la cosa alla polizia, che in casa trova un tavolino rotto e numerose tracce di sangue. Qualche sorriso di troppo rubato dalle telecamere delle emittenti che seguono la vicenda e Nick si ritrova ben presto tra i principali sospettati

Finalmente una trama avvincente, frutto di un eccellente regista che mette da parte qualsiasi velleità letteraria lasciando campo libero all’autrice del romanzo da cui è tratta la pellicola (Gillian Flynn, L’amore bugiardo, Rizzoli, 2012). Il risultato è ottimo. Rimaniamo letteralmente incollati allo schermo per 149 minuti godendoceli singolarmente uno ad uno, con picchi di coinvolgimento che da tempo non registravamo davanti al grande schermo. La storia incentrata su una coppia invidiabile che comincia a sfaldarsi, ricostruita abilmente grazie ad un perfetto incastro tra flashback rievocati dalle pagine del diario ritrovato della moglie e vicissitudini del marito che la cerca, potrebbe far pensare alla solita tiritera ampiamente sfruttata dalla settima arte. E invece qui ci troviamo di fronte ad un’insolita, e per questo ancor più apprezzata, variazione sul tema, che si eleva addirittura rispetto alle altre recenti opere cinematografiche statunitensi sulla vita coniugale (lo spietato Revolutionary Road di Sam Mendes e To the Wonder di Terrence Malick, per citarne solo un paio). 

Ne esce uno studio metaforico che estremizza le tematiche legate al matrimonio per farsi ancor più terribilmente realistico (alla maniera ellissiana, mi verrebbe da dire), sorretto dalla bravura degli attori, della sceneggiatrice e di un regista che riesce a concentrare l’attenzione non solo sulle contraddizioni del tema ma anche sul contesto che talvolta le crea, talvolta le subisce. La scomparsa di una moglie diventa dunque un pretesto per indagare i rapporti di coppia e come vengono percepiti all’esterno: il circo mediatico si scatena (che siano vicini di casa o emittenti televisive ad esprimere un giudizio, il risultato non cambia) e la verità che viene a galla è sempre parziale, frutto di un gioco di astuzie costruito sul momento, non nel lungo periodo. 

L’unica perplessità riguarda l’atmosfera generale della pellicola. Il film parte infatti come un thriller finendo quasi per sfociare nel grottesco. Una disomogeneità che tradisce forse un riferimento ad una certa tradizione hollywoodiana (la mente corre alla Guerra dei Roses) e che, a conti fatti, fa calare un poco l’epicità dell’intera opera. 

Interessante infine constatare come l’uscita di quest’opera abbia seguito sia negli USA che in Italia di poche settimane quella dello Sciacallo (Nightcrawler, Dan Gilroy), altra inquietante riflessione sul ruolo dei mass media nella percezione della realtà. 

Voto: 4 su 5 

(Film visionato il 26 dicembre 2014)

giovedì 18 dicembre 2014

Nuova recensione Cineland. Mommy di Xavier Dolan


Mommy 
di Xavier Dolan 
con Anne Dorval, Steve-Olivier Pilon, Suzanne Clément 
Drammatico, 140 min, Francia, Canada, 2014 

Una madre single, non più giovane ma ancora attraente (Diane, interpretata da Anne Dorval) si trova ad accudire il violento e instabile figlio quindicenne (Steve, Steve-Olivier Pilon) pur di non farlo finire in un ospedale psichiatrico. Cerca di aiutarla, tra mille difficoltà, una vicina di casa balbuziente (Kyla, Suzanne Clément). 

Xavier Dolan (classe 1989!) ha realizzato un film che vive di eccessi e contrasti. Elementi che fanno la fortuna dell’opera tradendo però, allo stesso tempo, tutta l’acerbità del regista. Sin dall’inizio il primo aspetto del film che colpisce è l’ottima recitazione, caratterizzata per tutti i personaggi da una continua alternanza di quiete ed esplosioni incontrollate. Si pensi ai comportamenti di Steve (dolce o violento), alle reazioni della madre Diane (paradigmatico lo straziante monologo finale che si risolve in un disperato pianto) o ancora al travaglio interiore della delicata vicina di casa Kyla. 

Nelle prime scene si palesa anche il principale elemento che innerva tutta la pellicola: la musica. La sua è una presenza massiccia (si parlava d’eccessi), e sappiamo già come solo i grandi successi del presente e del passato (in questo caso si va da Wonderwall degli Oasis a Born To Die di Lana del Rey, passando da Vivo per lei di Andrea Bocelli e Giorgia Todrani… che contrasti!) siano sufficienti a “rapire l’anima” dello spettatore, incollarla alle immagini e rendere epica anche la scena più insignificante. Non che questo voglia dire che ci siano scene mal realizzate. Anzi, è proprio la maestria tecnica con la quale Dolan ha studiato ogni minima inquadratura della sua opera che colpisce. Già la scelta del formato dimostra un’attenzione particolare a questo aspetto: la dimensione 1:1 (Mariarosa Mancuso ha parlato di “formato Instagram”) accentua la solitudine dei singoli personaggi nei primi piani pasoliniani o nei campi medi, per poi aprirsi nelle metaforiche scene che restituiscono un’idea di massima speranza o spensieratezza. 

Siamo indubitabilmente di fronte a vette di sperimentalismo tecnico, di coraggio autoriale, che da tempo non trovavamo sul grande schermo (ultimo esempio, a livello di sperimentalismo tecnico “spinto”, l’uso delle lenti deformanti nel Faust di Sokurov, 2011). Ma ancora una volta finiamo nel campo dei contrasti, dato che alla maestria tecnica non corrisponde una storia che si possa dire allo stesso livello. 

Dolan pecca infatti d’inesperienza nel momento in cui decide di mettere in scena una vicenda d’amore materno senza metterle dei freni, ovvero sfruttando troppo spesso in maniera poco misurata situazioni e artifici narrativi che finiscono per tradire una scarsa profondità di riflessione sul tema, per un risultato che sembra ben più emotivo che ragionato. Per affinità tematiche possiamo citare, come pietra del paragone, La luna di Bernardo Bertolucci (1979). Nonostante questo, il film rimane pur sempre una ventata d’aria fresca nel panorama cinematografico contemporaneo e il secondo plot point, ovvero la proiezione materna del possibile futuro del figlio in finale di film, è un pezzo di grandissimo cinema che ci accompagnerà per lungo tempo. 

Voto: 4 su 5 

(Film visionato il 12 dicembre 2014)

lunedì 1 dicembre 2014

Nuova recensione Cineland. Due giorni, una notte di Jean-Pierre e Luc Dardenne


Due giorni, una notte (Deux jours, une nuit) 
di Jean-Pierre e Luc Dardenne 
con Marion Cotillard, Fabrizio Rongione, Pili Groyne 
Drammatico, 95 min., Belgio, Francia, Italia, 2014 

Sandra, dipendente di una piccola azienda che produce pannelli solari, è in procinto di rientrare al lavoro dopo essersi ripresa da una brutta depressione quando viene raggiunta dalla telefonata di una collega che la informa che buona parte dei colleghi ha votato per il suo licenziamento in cambio di un bonus in busta paga. Sandra vuole gettare la spugna ma, grazie ad una collega che riesce ad ottenere una seconda votazione e ad un marito che la supporta, trova la forza di giocare la sua ultima carta: incontrare uno per uno i colleghi, nel fine settimana, per convincerli a votare per il suo reintegro. 

Ciò che colpisce di più di quest’opera è la semplicità degli elementi che la compongono: la regia dei fratelli Dardenne si fa classica (scompare l’onnipresente telecamera che segue il personaggio principale per una più ampia varietà d’inquadrature, semplici e misurate), la sceneggiatura è lineare, i dialoghi sobri, la recitazione puntuale. Possiamo dire che con questa loro ultima fatica i fratelli Dardenne hanno messo in atto l’insegnamento bressoniano dell’alleggerimento dei “significanti” per un raggiungimento più diretto del cuore del “significato”. Ne è scaturita una storia incisiva e verosimile (perché encomiabilmente legata ai tempi), che si sublima in un finale di rara profondità e rilevanza

Voto: 4 su 5 

(Film visionato il 29 novembre 2014)

domenica 23 novembre 2014

Nuova recensione Cineland. Pasolini di Abel Ferrara


Pasolini 
di Abel Ferrara 
con Willem Dafoe, Ninetto Davoli, Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea 
Biografico, 86 min., Belgio, Francia, Italia, 2014 

Premetto di aver avidamente studiato gran parte dell’Opera pasoliniana. Intendo i romanzi, le poesie, gli scritti critici, gli articoli e quasi tutti i film dell’intellettuale assassinato nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975. Cito con precisione l’ultimo atto della sua vita perché quest’opera di Abel Ferrara, sceneggiata con Maurizio Braucci, si concentra proprio sulle ultime ore dello scrittore attraverso la ricostruzione della sua quotidianità, degli affetti, delle opere rimaste incompiute. Passa allora davanti ai nostri occhi una galleria di personaggi (Ninetto Davoli, Laura Betti, la madre) e situazioni (le partite di calcio con i borgatari, le interviste, gli adescamenti di giovinetti) che dovrebbero restituire la dimensione epica della vita di Pasolini (siamo così sicuri che il suo privato fosse così memorabile?). 

Ciò che ne esce è una lunga lista di luoghi comuni, animati da un codazzo di maschere stereotipate, intervallati da un’approssimativa, quasi grottesca e caricaturale ricostruzione delle opere rimaste incompiute, ovvero Petrolio e Porno-Teo-Kolossal

Voto: 2 su 5 

(Film visionato il 18 novembre 2014) 

giovedì 20 novembre 2014

Nuova recensione Cineland. Lo sciacallo - The Nightcrawler di D. Gilroy


Lo sciacallo – The Nightcrawler 
di Dan Gilroy 
con Jake Gillenhaal, Bill Paxton, Rene Russo, Riz Ahmed 
Drammatico, Noir, Thriller, 117 min., USA, 2014 

Lou è un ragazzo strano. Vive in un monolocale, non ha parenti e amici, ha una macchina scassata e ruba qua e là per far soldi. Il necessario per vivere. Una sera assiste ad un incidente e vede accorrere una troupe di freelance che poco dopo vende con profitto le riprese ad un’emittente locale. A Lou si accende la lampadina e allora, moderno Scrooge che da un penny costruì un impero, ruba una bici da corsa per poi rivenderla e comprare una videocamera e un computer. Parte così la sua ascesa nel mondo dell’informazione, fatta di colpi bassi e competizione ferocemente sleale

Ci è sembrato di essere spettatori di un’operazione nostalgia. Echi di anni Novanta esplodono davanti ai nostri occhi con tutta la loro dirompenza non solo grazie alle immagini di una decadentissima Los Angeles ma anche e soprattutto grazie ad una storia che presenta i canoni tipici dei film di quella decade. Non ci stupiamo allora che Lou giri con la camicia bianca a maniche corte come il Michael Douglas di Un giorno di ordinaria follia (Falling Down, Joel Schumacher, 1993). Chicca che, insieme alle panoramiche della città degli angeli, non solo vale il prezzo del biglietto ma accentua anche il tasso di follia del protagonista e della vicenda tutta. Pazzia insana, mancanza di controllo che vale al protagonista la palma di cattivo più cattivo di questi ultimi stanchi anni cinematografici. Il suo sguardo spiritato (Gillenhaal è davvero inquietante e la perfetta Rene Russo gli regge il gioco) è la ciliegina sulla torta, il suo cinismo è il caffè, i suoi discorsi improntati al personal branding più spinto e la domanda What if my problem isn’t that I don’t understand people, but that I don’t like them? l’ammazzacaffé. 

Non ci siamo dunque trovati di fronte solo ad una riflessione sul giornalismo e le sue derive (il sensazionalismo a tutti i costi, la manipolazione delle notizie, i dubbi etici legati alla ripresa senza filtri della realtà, ecc…) ma ad una vera e propria considerazione metaforica sul livello odierno a cui si attesta ormai il comune senso del pudore. E allora ci siamo alzati dalle poltrone svuotati, consci di aver visto, piaccia o non piaccia, uno dei film più spietati degli ultimi anni

Voto: 4 su 5 

(Film visionato il 15 novembre 2014)

domenica 16 novembre 2014

Nuova recensione Cineland - Interstellar di C. Nolan


Interstellar 
di Christopher Nolan 
con Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Wes Bentley, Michael Caine
Fantascienza, 169 min., USA, UK, 2014 

Non c’è due senza tre. Inception (2010) e Il cavaliere oscuro – Il ritorno (2012) ci avevano lasciato con l’amaro in bocca e ora è il turno di questo Interstellar. Ma una cosa l’abbiamo capita. Nolan è ormai regista da alti budget e quindi “prigioniero” di un cinema che deve per forza fare i conti con i risultati al botteghino. Non ci dobbiamo quindi stupire se questa sua ultima opera, nonostante le affinità tematiche, non sia ai livelli di profondità di capolavori come 2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968) ma si fermi alla superficie. Come se la navicella di Cooper (McConaughey) non lasciasse mai la terra, come se quel tanto decantato buco nero fosse solo uno specchietto per le allodole. 

Qualcosa si salva? Certo. Il film è puro e bellissimo intrattenimento, frutto di una maestria tecnica e registica senza precedenti. Ciò che manca, recente vizio del regista, è la profondità d’analisi, ovvero quella capacità di riempire un ottimo prodotto di significato. E allora, di nuovo, le buone premesse (tra cui un tema quanto mai attuale: le nuove generazioni si devono formare per far fronte alle esigenze del pianeta, a costo di sacrificare le loro predisposizioni) sfociano in un finale tanto stucchevole quanto fastidioso. Ci piace ancora pensare che il vero Nolan sia quello di Insomnia (2002). 

Voto: 3 ½  su 5 

(Film visionato l’8 novembre 2014)

venerdì 7 novembre 2014

Novità da Blockbuster - L'evocazione - The Conjuring; Synecdoche, New York; La casa

L’evocazione - The Conjuring 
di James Wan 
con Patrick Wilson, Vera Farmiga, Lili Taylor, Ron Livingston 
Horror, 112 min., USA, 2013 
*** ½ 

Terzo film (dopo Amytiville Horror e The Hounting in Connecticut) basato sulle esperienze dei ricercatori del paranormale Ed e Lorraine Warren, realmente esistiti. In questo caso la coppia aveva aiutato, all’inizio degli anni Settanta, la famiglia Perron a liberarsi e liberare la casa dal demonio. James Wan ha realizzato un film tecnicamente inappuntabile, ricco di soluzioni intelligenti che innovano un genere (l’horror soprannaturale) che sembrava ormai essere arrivato al capolinea. Veniamo proiettati negli anni settanta (ottima la ricostruzione dell’epoca) e misteriose presenze, rumori sinistri, possessioni e porte che cigolano fanno, almeno per una volta, veramente paura. Per tutti quelli che con Paranormal Activity si sono addormentati

Synecdoche, New York 
di Charlie Kaufman 
con Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Michelle Williams, Samantha Morton 
Drammatico, 124 min., USA, 2008 
** ½ 

Caden (Hoffman) è un regista teatrale che si scopre malato. Non se ne conoscono le cause. Nel mentre vince un importante premio che gli permette di mettere in scena il più grande spettacolo teatrale di tutti i tempi. A causa della paura di morire, Caden lavora alacremente per realizzare una rappresentazione dettagliatissima della sua vita, per darle un senso attraverso l’arte. Il film testimonia la notevole capacità di scrittura di Kaufmann ma anche i limiti di una “trama” che ripropone tematiche d’inizio Novecento (basta aver letto qualche opera di Pirandello). Per cinefili.

La casa (Evil Dead) 
di Fede Alvarez 
con Jane Levy, Shiloh Fernandez, Lou Taylor Pucci, Jessica Lucas 
Horror, 91 min., USA, 2013 
** ½ 

Remake dell’omonimo film del 1981 di Sam Raimi, in questo caso produttore insieme a Bruce Campbell e Robert Tapert (rispettivamente protagonista e produttore della leggendaria pellicola). La storia ripropone tutti gli stilemi del genere splatter. È interessante rilevare come la computer grafica, il cui uso è qui veramente massiccio, riesca a rendere verosimili scene altrimenti irrealizzabili.

domenica 2 novembre 2014

Nuova recensione Cineland. Boyhood di Richard Linklater


Boyhood 
di Richard Linklater 
con Patricia Arquette, Ethan Hawke, Ellar Coltrane, Lorelai Linklater 
Drammatico, 165 min., USA 2014 

39 giorni di riprese realizzate nell’arco di 12 anni (dal 2002 agli inizi del 2014) al ritmo di tre o quattro giorni ogni anno. Sempre con gli stessi attori, sempre con la chiara idea di “quale sarebbe stata l’ultima inquadratura, dove sarebbero andati i personaggi”. Boyhood è il risultato di questo lavoro di pianificazione e costanza, di commistione tra realtà (il contesto e l’evoluzione fisica degli attori) e fiction (i personaggi e ciò che accade). 

Proprio questa compenetrazione acuisce le peculiarità di un’anomala storia di formazione che, proprio per il suo alto tasso di sperimentalismo, promuove un fortissimo meccanismo di identificazione. Grazie all'inserimento, all’interno della narrazione, di accadimenti positivi e negativi, degni di nota o irrilevanti, ma sempre fondamentali per cesellare le personalità, siamo testimoni non solo della crescita di un ragazzo che passa dai 6 ai 18 anni ma anche delle sorti dei famigliari che lo accompagnano in questo percorso: la madre, il padre, la sorella. Un po’ come per chi guarda i filmini di famiglia, messa in scena di una realtà dove ci sono personaggi costanti e comparse che non ritorneranno, è impossibile non ritrovare almeno un frammento della propria vita e identificarsi con almeno uno dei personaggi. 

Ma Boyhood è anche un’opera che, grazie al meccanismo di ripresa diretta della realtà, si propone come documento filologicamente ineccepibile sul contesto socio culturale statunitense dell’ultimo decennio (un po’ come Heimat per la Germania). L’opera promuove infatti un’acuta e profonda riflessione su uno dei  pilastri della società, la Famiglia, mettendone a nudo le contraddizioni, le soavità. 

Voto: 4 su 5 

(Film visionato il 29 ottobre 2014)

domenica 26 ottobre 2014

Novità da Blockbuster - Prisoners di D. Villenueve, 300 - L'alba di un impero di N. Murro e Il cacciatore di donne di S. Walker

Prisoners 
di Denis Villeneuve 
con Hugh Jackman, Jake Gyllenhall, Maria Bello 
Thriller, 153 min., USA, 2013 
*** 

Avevamo apprezzato Villeneuve con la Donna che canta (2010) e non possiamo certo dire che anche con quest’opera non abbia colpito nel segno. Non tanto per la storia, un po’ scontata soprattutto a fronte della risoluzione finale, quanto per l’atmosfera, l’ambientazione e la recitazione dei protagonisti (Gyllenhall su tutti). Se poi si considera che il racconto ruota attorno al fulcro disperazione/vendetta, ecco allora che possiamo affermare di trovarci davanti ad uno dei migliori thriller della scorsa stagione cinematografica.

300 – L’alba di un impero (300: Rise of an Empire) 
di Noam Murro 
con Sullivan Stapleton, Eva Green, Rodrigo Santoro, Callan Mulvey 
Epico, 102 min., USA, 2014 
** 

Blockbusterone da divano, McDonald’s e rutto libero. Violenza, ammazzamenti, machismi ed effetti speciali a profusione. Il tutto a scapito della veridicità storica. Regge il film una sorprendente Eva Green. Per svagarsi.

Il cacciatore di donne (The Frozen Ground) 
di Scott Walker 
con Nicolas Cage, John Cusack, Vanessa Hudgens, Dean Norris 
Thriller, 105 min., USA, 2013 
* ½ 

Ogni tanto bisogna pur far lavorare i “vecchietti” di Hollywood! Qui abbiamo Cage e Cusack, incapaci di portare valore aggiunto al film anche per colpa di una scarsissima caratterizzazione dei loro personaggi (principali). L’opera parla di una storia vera (quella del “perfetto” padre di famiglia e serial-killer Robert Hansen, che cacciava come animali nelle foreste dell’Alaska le donne che aveva rapito), ma ha la colpa di trasporla semplicisticamente in immagini attraverso una mera giustapposizione di scene.

mercoledì 22 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland - I due volti di gennaio (The Two Faces of January) di H. Amini



I due volti di gennaio (The Two Faces of January) 
di Hossein Amini 
con Viggo Mortensen, Oscar Isaac, Kirsten Dunst 
Thriller, 96 min., USA, UK, Francia 2014 

Atene, 1962. Rydal è un giovane americano che ha deciso di allontanarsi dalla sua famiglia d’origine per vivere ad Atene. Sbarca il lunario facendo la guida turistica e, senza troppe remore, truffa chi a lui si affida giocando sul cambio tra dollari e dracme. Un giorno il giovane si imbatte in una facoltosa coppia di turisti statunitensi: lei (Dunst) gli fa girare la testa, lui (Mortensen) gli ricorda suo padre. Farà loro da guida, poi verrà risucchiato in un vortice che rischierà di rovinargli la vita per sempre. 

Dallo sceneggiatore di Drive (N.W. Refn, 2011), passato con questo film anche dietro alla macchina da presa, era lecito aspettarsi di più. L’ambientazione (Atene e le isole greche), la recitazione (misurata da parte di tutti gli attori) e la narrazione (la storia è tratta dall’omonimo romanzo di Patricia Highsmith) costituiscono sì una buona amalgama, ma tutta sbilanciata sul versante del classico. Per non rischiare Amini sceglie una regia attenta e trattenuta, fino quasi a tradire la paura di commettere passi falsi

Ne esce un prodotto ben girato, ben recitato, ma troppo poco sincero: il fatto che la storia si sviluppi negli anni sessanta e non nella contemporaneità è già, per uno sceneggiatore, una dichiarazione di resa. Se poi si considerano il finale obsoleto, il triangolo amoroso che (ovviamente) porta guai e il rapporto padre/figlio che lega i due protagonisti, questo avvalora ancora di più la lettura di un’opera ingessata nel paradosso di un’artificiosità derivante dal fatto di non aver voluto introdurre alcun elemento di innovazione registica e/o contenutistica. 

Prevedibile, patinato, sorpassato e senza quella raffinatezza e quella voglia di osare che hanno fatto grandi altri registi del genere (un nome su tutti, ma evito di farlo perché non c’è una recensione su quest’opera che non lo abbia chiamato in causa). 

Voto: 2 ½ su 5 

(Film visionato sabato 18 ottobre 2014)

domenica 19 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland. Il regno d'inverno - Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan



Il regno d’inverno – Winter Sleep 
di Nuri Bilge Ceylan 
con Haluk Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag, Ayberk Pekan 
Drammatico, 196 min., Turchia, Francia, Germania, 2014 

Turchia. Nell’Hotel Otello, struttura che come le abitazioni limitrofe è stata scavata nella roccia di una remota regione dell’Anatolia, vive con moglie, sorella e domestici Aydin, il proprietario, che, arrivata la stagione invernale, passa sempre più tempo nel suo studio per poter finalmente iniziare un trattato sul teatro turco e scrivere articoli di critica di costume per un gazzettino locale. La sua stanza non è altro che un rifugio dal suo personale inverno, quella stagione della vita che lo obbliga a tirare le somme della sua esistenza. Lo aiuteranno in questo, a loro modo, la sorella, la moglie e la famiglia del paese a cui aveva dato, per interposta persona, lo sfratto. 

Nuri Bilge Ceylan scrive con la moglie la storia di una ricerca: la ricerca del senso dell’esistenza da parte di un “uomo senza qualità”, istruito, educato, ma ancora non abbastanza maturo per comprenderne fino in fondo il meccanismo. Per questo indispone, risultando a chi gli sta intorno irritante, supponente, incapace di far fronte alle proprie responsabilità (in questo ci ricorda un po’ l’Oblomov di Gončarov). Obiettivo ultimo del regista/sceneggiatore quello di mostrarci il suo percorso di crescita, costruito sul confronto con tre principali soggetti: la sorella, la moglie, il popolo. L’opera funziona soprattutto quando si concentra su quest’ultimo rapporto che, in ultima analisi, è quello che si dimostra più metaforico e interessante (anche se sulla società turca ne sappiamo poco più di prima). Non è invece ben chiara la scelta di affidare buona parte della caratterizzazione del protagonista ai rapporti che lo legano alle due figure femminili, dato che entrambe improvvisamente si eclissano, quasi senza motivo e senza valore aggiunto, dopo essere state protagoniste di lunghissimi e lapalissiani dialoghi (tutti concordi nel rimando a Čhecov). 

Siamo di fronte ad un’opera sì egregiamente diretta e recitata, ma nettamente bicefala (è uno di quei casi dove la durata complessiva non è giustificata) e ad ampi tratti ampollosa, tematicamente e dialogicamente ripetitiva, in bilico tra cinema e letteratura, film e romanzo. Per dirla con le parole di Robert Bresson: «Impossibilità di esprimere fortemente qualcosa con i mezzi congiunti di due arti. O è tutta una o è tutta l’altra». Palma d’oro a Cannes 2014. 

Voto: 3 su 5 

(Film visionato il 14 ottobre 2014)

mercoledì 15 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland. Anime nere di F. Munzi


Anime nere 
di Francesco Munzi 
con Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Anna Ferruzzo 
Thriller, 103 min., Italia, Francia, 2014 

Tre fratelli, tre volti della ‘ndrangheta. Luciano, il cuore, vive ad Africo, paese dell’Aspromonte. È un uomo umile, di sani principi. Dedica la vita all’allevamento e alla cura della terra. Ha un figlio, Leo, che subisce il fascino della malavita e risolve una questione d’onore demolendo la vetrata di un negozio con un fucile a pallettoni. Nel mezzo di quella stessa notte scappa a Milano, dai fratelli di suo padre. Qui trova lo zio Luigi, il braccio, che si divide tra l’Italia del nord ed il nord Europa per contrattare con i cartelli sudamericani il traffico e il prezzo della droga nel continente. Coordina gli affari l’altro zio, Rocco, la mente, che cela la sua vera identità dietro un paio di occhiali da ragioniere, una famiglia modello, una casa più che decorosa. Venuti a conoscenza della bravata di Leo e degli effetti da essa generati, Luigi e Rocco faranno ritorno ad Africo con il nipote per cercare di mettere a posto le cose. La situazione degenererà. 

Benché ci siano stati critici cinematografici che hanno visto nella compresenza di tre fratelli dalle personalità così nette e distinte un’ingenuità che attenua l’incisività dell’opera, si deve comunque rilevare che una caratterizzazione netta dei personaggi li rende credibili e per questo funzionali a quel che, in fin dei conti, non può e non deve essere altro che considerato come il racconto di una storia dai tratti tragici. Certo, in questo modo il film non raggiunge quelle vette d’introspezione che possono essere ravvisate in altre opere sulla mafia (da recuperare, in questo senso, Fratelli di Abel Ferrara). Ma accettando per un momento che un film italiano possa avere caratteristiche da thriller (dalle molteplici ambientazioni, anche in esterni!), e non necessariamente da “dramma da camera”, ecco allora che lo spettatore si trova di fronte ad una storia finalmente “maledetta”, ovvero fatta di faide, vendette, sangue. Il tutto reso con realismo spietato e, quel che più ci interessa, ottima tecnica

Forse, dato anche il recente successo della serie televisiva Gomorra, il cinema italiano ha ritrovato un genere davvero poco praticato. L’auspicio è che il filone non si esaurisca e che i temi di mafia fungano solo da trampolino di lancio per un’evoluzione del genere e del cinema italiano tutto. 

Voto: 4 su 5

(Film visionato il 27 settembre 2014)

domenica 12 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland - Sin City Una Donna Per Cui Uccidere di F. Miller e R. Rodriguez


Sin City – Una donna per cui uccidere 
di Frank Miller e Robert Rodriguez 
con Mickey Rourke, Jessica Alba, Josh Brolin, Joseph Gordon-Levitt, 
Eva Green, Rosario Dawson
Thriller/Noir, 102 min., USA, 2014 

Difficile ricordare il primo capitolo, risalente a ben nove anni fa, per poter fare un efficace confronto con questa seconda produzione del marchio Sin City. Lo siamo andati a vedere in 2D, avendo letto dell’inutilità del 3D, e dopo una settimana ce ne siamo quasi già scordati. 
Quasi, perché un aspetto ci è rimasto e, paradosso dei paradossi per un film, si tratta di una peculiarità molto più letteraria che cinematografica: i flussi di coscienza dei personaggi (stream of consciousness ci avrebbe detto la nostra professoressa d’inglese), più pulp di qualsiasi manifestazione di violenza che innerva tutta l’opera, maledettamente più interessanti di qualsiasi altro aspetto serio o faceto che sia (si va dalle forme di Green e Alba alle folli corse in auto, passando dalle torture ai sanguinosi duelli). 
I pensieri dei protagonisti spiccano così sia sulla messa in scena (intrigante ma fin troppo “disegnata”), sia sui dialoghi (telefonati), sia sulla comunque buona prova recitativa dei vari Rourke, Brolin, Gordon-Levitt. Avremmo potuto chiudere gli occhi per lasciarci trasportare da frasi degne di certe pagine di Burroughs e Chandler, per immaginarci mondi ben più interessanti di quelli concepiti dalla coppia Miller-Rodriguez. 

Voto: 2 su 5 

(Film visionato il 6 ottobre 2014)

domenica 5 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland. Una promessa (A Promise) di P. Leconte


Una promessa 
di Patrice Leconte 
con Rebecca Hall, Alan Rickman, Richard Madden 
Sentimentale, 98 min., Francia, Belgio, 2014 

Germania, 1912. Friedrich (Madden), orfano di umilissime origini, viene assunto da un’acciaieria. Il proprietario (Rickman), colpito dalle sue capacità, lo promuove a segretario personale fino ad “adottarlo” nella propria magione. La convivenza gli comporta una crescente familiarità con il figlio e, soprattutto, la moglie dell’industriale, Charlotte (Hall). I due cercheranno in tutti i modi di trattenere i loro sentimenti. Proprio quando potrebbero darne libero sfogo ecco che la guerra e nuovi impegni lavorativi del giovane ne separeranno le esistenze. È proprio in questo momento che i due cercheranno di rendere inscindibili i loro destini, con una promessa. 

Tempi dilatati, estasi platoniche, promesse da mantenere. Leconte si inerpica nel difficilissimo sentiero della trasposizione cinematografica di un’opera letteraria (Viaggio nel passato, Stefan Zweig) tutta incentrata su un sentimento amoroso (semplificando, noi spettatori dovremmo vivere empaticamente le vicissitudini sentimentali dei due protagonisti). Purtroppo, nonostante la buona tecnica utilizzata, la regia è fin troppo didascalica e le imprecisioni ragguardevoli. Approssimativa è la ricostruzione di un’epoca, affidata alle ripetitive scene in interni, come assolutamente ingiustificata è la scelta di attori e ambientazioni in esterno evidentemente anglosassoni a dispetto di una storia totalmente ambientata in Germania (discrepanza resa ancora più evidente se si vede il film in lingua originale, ovvero in inglese!). L’obiezione che si potrebbe muovere è che l’opera si vuole accontentare di mettere al centro di tutto una storia d’amore, scevra da qualsiasi tipo di sovrastruttura storica e sociale. Tuttavia è proprio la tensione erotica che dovrebbe innervare la storia a fare sentire inesorabilmente la propria mancanza, vuoi per la recitazione “contemporanea” dei due attori protagonisti, vuoi per il patetismo di certe scene che sconfina nell’assurdo (v. la scena del pianoforte). Ne esce così un’opera tutto sommato gradevole, a condizione di considerarla come un superficiale feuilleton. Poteva invece essere l’occasione per realizzare una più profonda riflessione sui ruoli e le convenzioni sociali e sentimentali d’inizio Novecento. 

Voto: 2 su 5 

(Film visionato il 3 ottobre 2014)

domenica 28 settembre 2014

Traversetolo – A Tribute to Vilhelm Hammershøi


Traversetolo – A Tribute to Vilhelm Hammershøi è un corto concepito in seguito all’incontro con l’Opera del pittore danese. 




Traversetolo - A Tribute To Vilhelm Hammershøi from Andrea Vighi on Vimeo.

A Tribute To Vilhelm Hammershøi

Traversetolo (Parma, Italy)

Camera: Panasonic HC-V750

In an interview with the magazine Hjemmet (The Home) in 1909 Hammershøi said:
"I personally prefer the Old; old buildings, old furniture, the unique and distinct atmosphere that such things possess."

domenica 21 settembre 2014

Novità da Blockbuster. Sinister, Salvo e Sole a catinelle

Sinister 
di Scott Derrickson 
con Ethan Hawke, Juliet Rylance, Fred Dalton Thompson 
Horror, 110 min., USA, 2012 
** ½ 

All’inizio le perfette atmosfere create e un Ethan Hawke in forma fanno presagire il meglio. Poi il film prende una piega talmente inverosimile che il tutto si risolve in un finale che vanifica ogni buon proponimento.

N.B. I successivi due film (Salvo e Sole a catinelle) sono stati considerati dagli "addetti ai lavori" come le due facce (positive) della scorsa stagione cinematografica italiana: il primo è stato considerato come un punto di (ri)partenza del nostro cinema in occasione del Festival di Cannes 2013, il secondo ha ottenuto un enorme successo al botteghino. Potete proseguire con la lettura se li avete già visti, oppure fermarvi se non li avete visti e volete darci un occhio per farvi un’idea senza condizionamenti. In tutti i casi possiamo confermare che, insieme, le due opere possono senza dubbio fornire preziose indicazioni sullo stato di salute del nostro cinema.

Salvo 
di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza 
con Saleh Bakri, Sara Serraiocco, Luigi Lo Cascio, Giuditta Perriera 
Drammatico, 104 min., Italia, Francia, 2012 
** ½ 

Quanto spreco. Un film tanto bello sotto il punto di vista tecnico (movimenti di macchina, fotografia) quanto prevedibile e scontato sotto quello narrativo (sceneggiatura probabilmente lunga non più di qualche pagina). Peccato. 
P.s. Cosa abbiamo mai fatto di male per meritarci Arriverà dei Modà come incessante colonna sonora?

Sole a catinelle 
di Gennaro Nunziante 
con Checco Zalone, Aurore Erguy, Miriam Dalmazio, Robert Dancs 
Commedia, 90 min., Italia, 2013 
* ½ 

Un paio di battute degne di nota, ma il film non ha neanche valore profetico presentando uno spiantato berlusconiano soltanto alla fine del ventennio. Troppo spesso imbarazzante e/o sopra le righe: c’è ancora chi pensa, nel 2014, che un bambino che dice le parolacce faccia ridere?

lunedì 11 agosto 2014

Nuova recensione Cineland. Oh Boy - Un caffè a Berlino di Jan Ole Gerster


Oh Boy – Un caffè a Berlino 
di Jan Ole Gerster 
con Tom Schilling, Friedrike Kempter, Marc Hosemann 
Commedia, 83 min., Germania, 2012 

Niko Fischer è un giovane cui la vita sembra aver riservato un bello scherzetto: per ventiquattro ore sarà moderno Paperino – viene lasciato dalla fidanzata, il bancomat gli trattiene la carta, gli ritirano la patente,... – alla ricerca di se stesso e di un caffè

Abbiamo incontrato un film tematicamente molto simile proprio quest’anno: A proposito di Davis (Inside Llewin Davis, 2013). Tuttavia, mentre il film dei fratelli Coen si è dimostrato maturo sotto tutti i punti di vista, in quest’opera si può riscontrare qualche ingenuità tecnica (errori di messa a fuoco e di cambio d’inquadratura, ma lascio a voi il divertimento della caccia alle imprecisioni) e qualche piccolo buco narrativo. Il bilancio finale è positivo sotto il profilo dell’intrattenimento meno sotto quello del risultato finale, perché non riusciamo a capire fino in fondo l’obiettivo, il tema forte che tiene insieme il tutto. 

Questa crisi d’identità ambientata in una Berlino in bianco e nero a conti fatti non risulta funzionale ad una metafora sulla crisi d’identità della Germania contemporanea, discorso che poteva valere pre o post Muro di Berlino ma non ora, in un periodo in cui la Germania detta legge se non a livello mondiale almeno a livello europeo. Potrebbe allora semplicemente trattarsi della crisi d’identità di un ragazzo, Niko, ma anche in questo caso non si riesce a capire la scelta di affidare una lunga sequenza (forse la più lunga, posta in posizione enfatica nella narrazione, ovvero a tre quarti) all’incontro del protagonista con un anziano che rievoca la notte dei cristalli: se questa fosse da interpretare come una riflessione sul senso di responsabilità che effettivamente Niko deve ritrovare, la tematica risulterebbe comunque fin troppo greve

Voto: 3 su 5 

(Film visionato l’8 agosto 2014)

martedì 5 agosto 2014

Nuova recensione Cineland. Stop the Pounding Heart di R. Minervini


Stop the Pounding Heart 
di Roberto Minervini 
con Sara Carlson, Colby Trichell, Tim Carlson, LeeAnne Carlson, Katarina Carlson 
Drammatico, 98 min., Italia, 2013 

Capitolo conclusivo della trilogia sul Texas, Stop the Pounding Heart è passato quasi del tutto inosservato ma ha raccolto consensi a Cannes e al Festival di Torino vincendo il Premio della Giuria nella sezione Internazionale.doc. È la storia di Sara, giovane ragazza austera di famiglia cristianissima e numerosa che consacra le sue giornate ai precetti della Bibbia, i lavori manuali e la custodia delle sue sorelle. Sarà l’incontro con Colby, giovane cowboy e coraggioso bull ryder, a far nascere in lei pulsioni fino ad allora inascoltate. 

Attraverso una storia minimale dagli interrogativi esistenziali, ci viene restituito un dirompente affresco della realtà statunitense più nascosta e per questo più vera, in quella porzione di America rurale, qui coincidente con la periferia di Houston (Texas), dove le vite sono scandite da patriottismo, religione e tradizioni. La Natura, che tradisce un valore quasi thoreauiano, fa da sfondo ai riti d’iniziazione di giovani e adulti: il rodeo, le grigliate, il tiro al bersaglio. 

È nella ricerca di sé stessa che la protagonista compie un percorso di crescita silenzioso ma dirompente, cadenzato da una tecnica di ripresa che, mescolando richiami alle cifre stilistiche dei fratelli Dardenne (l’attenzione per la protagonista) e di Terrence Malick (il rapporto natura/personaggio), ci spinge ad una necessaria riflessione su una nuova forma di “cinema vérité” o “cinema diretto” che si propone come reazione alla crisi di contenuti che ormai attanaglia il cinema. 

L’operazione non è del tutto riuscita (è ormai evidente che rarefazione della narrazione e intrattenimento non vanno del tutto a braccetto) ma l’ottima tecnica e la qualità delle idee messe in campo ci fanno apprezzare l’opera e ci riempiono di speranza per il futuro di un regista italiano che è riuscito a superare nettamente i risultati dei suoi connazionali più conosciuti (su tutti, per affinità tematiche, Le meraviglie di Alice Rohrwacher). 

Voto: 4 su 5 

(Film visionato il 31 luglio 2014)


martedì 29 luglio 2014

Novità da Blockbuster. Gravity di A. Cuaròn e Super 8 di J.J. Abrams

Gravity 
di Alfonso Cuaròn 
con Sandra Bullock, George Clooney 
Drammatico, Thriller, 90 min., USA, GB, 2013 
**** 

Inutile soffermarsi sull’analisi di una trama a conti fatti lineare. Quel che conta evidenziare è che lo spettatore si sente in un’altra dimensione e partecipa empaticamente alle vicissitudini spaziali della dottoressa Ryan Stone (S. Bullock), che dopo il disastro che ha colpito la sua stazione orbitante si trova a vagare nello spazio con l’unico desiderio di poter avvertire ancora una volta il magico effetto della forza di gravità. Eccezionale il risultato sullo schermo in 2D, figuriamoci in 3D. 7 gli Oscar vinti, prevalentemente in campi tecnici. Eravamo scettici. Dopo averlo visto abbiamo capito, nonostante qualcuno ne abbia svelato le imprecisioni.

Super 8 
di J.J. Abrams 
con Joel Courtney, Elle Fanning, Kyle Chandler, Ron Eldard 
Fantascienza, Avventura, 112 min., USA, 2011 
*** 

Estate 1979. Un gruppo di ragazzi dell’Ohio che sta girando un filmino horror in super 8 è testimone di un disastro ferroviario dal quale "qualcosa" fugge seminando il panico nella cittadina. Non ci stupisce che il produttore del film sia Steven Spielberg dato che ritroviamo molti dei temi (tecnici e narrativi) a lui cari già presentati in opere come Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977), E.T. (1982), La guerra dei mondi (2005). E per noi “non più giovanissimi” cresciuti a pane e Goonies (ma si potrebbero citare anche Stand By Me e tutta quella selva di teen movie passati da Italia 1 nelle mattine d’estate) questo film è ancor più una ventata d’aria fresca perché, unendo spettacolarità a zuccherosi sentimenti, ci fa fare una viaggetto a ritroso nel tempo alla ricerca di un po’ di innocuo e disinteressato intrattenimento. Gli amanti del Cinema lo troveranno (a tratti) emozionante.

domenica 29 giugno 2014

Rêverie (Another way of looking at the Emilian Apennines - Part 3)


Rêverie è un cortissimo ispirato ad un passo della Camera da letto (cap. XXXIII, vv. 67-70), capolavoro in versi di Attilio Bertolucci. È girato a Pietta, poetico paesino delle colline parmensi.




Rêverie from Andrea Vighi on Vimeo.

Another way of looking at the Emilian Apennines - Part 3

Pietta (Tizzano Val Parma, Parma, Italy)

Camera: Panasonic HX-DC1

sabato 14 giugno 2014

Nuova recensione Cineland. Le meraviglie di Alice Rohrwacher


Le meraviglie 
di Alice Rohrwacher 
con Alba Rohrwacher, Sam Louwyck, Sabine Timoteo, Maria Alexandra Lungu, Monica Bellucci 
Drammatico, 110 min., Italia, Svizzera, Germania, 2014 

C’è poesia, è innegabile, e lo spettatore si affeziona senza fatica ai personaggi. Ma la storia, comunque interessante, è esile, talvolta fin troppo irreale (affidarsi a sceneggiatori sembra ormai una bestemmia), e risente dei continui inserimenti di situazioni spiazzanti o tributi palesi a neorealismo o pellicole celeberrime e tematicamente affini (su tutte Amarcord e le sue riflessioni sulla “vita di paese”). 

Ci affezioniamo sopra tutti a Gelsomina, che ricorda l’adolescenza da primogeniti responsabilizzati che devono badare ai propri fratelli, talvolta ai propri genitori. L’unico momento di svago è costituito da un balletto realizzato dalla sorella più piccola, di nascosto dai genitori fricchettoni, sulle note di T’appartengo di angioliniana memoria e l’iscrizione ad un concorso televisivo che potrebbe risollevare le sorti dell’economia famigliare, che sta in piedi grazie alla produzione e vendita di miele e ortaggi. 

In continuità con la tradizione cinematografica europea l’adolescenza viene presentata come un momento difficile, periglioso, serio. Serietà enfatizzata dalla tecnica di ripresa, sì sciatta e irregolare ma ad onor del vero sempre funzionale alla narrazione. Non si sa se interpretare il finale come una metafora o come una dichiarazione d’esonero responsabilità. 

Voto: 3 su 5 

(Film visionato l’11 giugno 2014)


lunedì 2 giugno 2014

Nuova recensione Cineland. Maps To The Stars di David Cronenberg


Maps To The Stars 
di David Cronenberg 
con Julianne Moore, John Cusack, Mia Wasikowska, Robert Pattinson 
Drammatico, 111 min., USA, Canada, Francia, Germania, 2014 


L’esclusione, la deformazione, gli eccessi, la devianza. Tematiche care al regista che ritroviamo in questa sua ultima opera. Ma, per favore, che non si tiri in ballo Altman né tantomeno Mulholland Drive (David Lynch, 2001) o The Canyons (Paul Schrader, 2013). 

Se proprio di similitudine si deve parlare, allora si citi The Informers (Gregor Jordan, 2009), trasposizione di una raccolta di racconti di Bret Easton Ellis che, distribuita solo per il mercato home video, si distingue per stile piatto e sviluppo di un crocevia di storie sfocianti in un finale tanto eccessivo quanto sconclusionato. 

Caratteristiche anche di quest’ultimo film di Cronenberg, che sfrutta toni algidi per mettere in scena una storia sì interessante ma più nelle ambientazioni che nelle vicende di personaggi che incarnano la solita critica al jet-set hollywoodiano (c’è una lunga filmografia a riguardo con un capostipite, Sunset Boulevard di Billy Wilder, che risale al 1950!). 

Interessante e ben sfruttato l’espediente dei fantasmi che tormentano i vivi, ma non basta a rendere memorabile una storia a conti fatti già vista. 

Voto: 2 ½ su 5 

(Film visionato il 28 maggio 2014)

martedì 20 maggio 2014

Remember Us: L'angelo del male, Videodrome, I soliti sospetti

L’angelo del male (La bete umaine
di Jean Renoir 
con Jean Gabin, Simone Simon 
Drammatico, 110 min., Francia 1938 
**** 

Tratto da La bestia umana di Èmile Zola, il film risente del passare del tempo ma rimane comunque un bellissimo esempio di opera che tratta il lato oscuro dell’animo umano. Amore, gelosia, vendetta e sangue sono gli elementi principali di un film sicuramente da riscoprire, uno dei più grandi del cinema di Jean Renoir.


Videodrome 
di David Cronenberg 
con James Woods, Sonja Smits, Deborah Herry 
Fantascienza, Thriller, 87 min., Canada, 1983 
*** ½ 

Cronenberg definisce una cifra stilistica ottimale per indagare il rapporto “epidermico” tra uomo e tecnologia. Riflessione, qui ancora acerba, che avrebbe successivamente toccato il suo vero apice con il più riuscito Crash (1996).


I soliti sospetti (The Usual Suspect
di Bryan Singer 
con Kevin Spacey, Gabriel Byrne, Kevin Pollak, Benicio Del Toro 
Thriller, 105 min., USA, 1995 
*** 

Cinque malfattori si mettono d’accordo per il colpo della vita. Durante il percorso si rendono conto di essere in balia di qualcuno che però riesce sempre a rimanere nell’ombra. Colpo di scena finale e un Kevin Spacey (claudicante) memorabile.
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