Lei (Her)
di Spike Jonze
con Joaquin Phoenix, Amy Adams,
Rooney Mara, Olivia Wilde, Chris Pratt
Drammatico, 126 min., USA, 2013
Theodore,
che si mantiene scrivendo lettere d’amore conto terzi, non riesce a dimenticare
l’ex moglie e vive alla giornata con pochi amici e molte occupazioni digitali.
La sua vita sentimentale sembra giungere ad una svolta quando installa sul
computer di casa un nuovo sistema operativo che comincia a relazionarsi con lui
in maniera simbiotica.
Sin dagli esordi Jonze ci aveva abituato, più che alla
maestria tecnica, alle trame coraggiose, futuristiche e spiazzanti. Essere John Malkovich (1999) aveva
chiuso il XX secolo presentando un personaggio che attraverso un passaggio
segreto riusciva ad entrare nella mente dell’attore che dà il titolo al film. Il ladro di orchidee (2002) ci aveva
spiazzati presentandoci una storia che si sviluppava step-by-step grazie allo
sceneggiatore/protagonista (anzi, gli sceneggiatori/protagonisti!).
Con
quest’ultimo film il regista approda invece ad un risultato che valorizza più
la forma che il contenuto. Le inquadrature si fanno ricercate e i movimenti
di macchina fluidi, la fotografia punta alla nitidezza e i colori si stagliano puliti
e pieni, le ambientazioni si fanno glamour. Una maggiore attenzione all’aspetto
tecnico cui segue una storia più interessante nelle attese che non negli
effettivi sviluppi. Già la scelta di ambientare il film in un prossimo futuro (non
poi così diverso dal presente) si rivela un espediente fin troppo facile per
giustificare situazioni altrimenti inverosimili. Come quella attorno alla quale
ruota tutta l’opera: il protagonista si rapporta sempre più intimamente con un
sistema operativo dalla voce femminile (a pensarci bene, un po’ come quando si
setta il TomTom) fino a presentare quest’ultimo agli amici come fidanzata (e senza
neanche provocare critiche o risolini). Da questo rapporto prende le mosse la
principale domanda cui Jonze cerca di dare risposta: come può evolvere la vita
di un uomo che costruisce un rapporto esclusivo con la sua macchina,
inevitabilmente plasmata a propria immagine e somiglianza?
La riflessione che
ne consegue, e che coincide con lo svolgimento del film, è una sorta di monito nei
confronti della società contemporanea, che preferisce sempre più rifugiarsi e
isolarsi negli ultimi ritrovati tecnici invece di mettersi in gioco nel campo
dei sentimenti. Una constatazione che, a fronte di due ore di film, risulta
essere un po’ troppo striminzita, soprattutto se si aggiunge che il finale si
può intuire già a metà film e che la materia è già stata ampiamente trattata in
Blade Runner (Ridley Scott, 1982). In
ultima analisi, ci rendiamo conto che l’opera rimane in piedi solo grazie a due
fattori: la facilità di scrittura di Jonze, bravo nel
raccontare l’evoluzione interiore del suo protagonista, nonché l’ennesima eccellente
prova recitativa di Joaquin Phoenix.
Voto: 3½ su 5
(Film visionato il 18 marzo
2014)
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