domenica 19 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland. Il regno d'inverno - Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan



Il regno d’inverno – Winter Sleep 
di Nuri Bilge Ceylan 
con Haluk Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag, Ayberk Pekan 
Drammatico, 196 min., Turchia, Francia, Germania, 2014 

Turchia. Nell’Hotel Otello, struttura che come le abitazioni limitrofe è stata scavata nella roccia di una remota regione dell’Anatolia, vive con moglie, sorella e domestici Aydin, il proprietario, che, arrivata la stagione invernale, passa sempre più tempo nel suo studio per poter finalmente iniziare un trattato sul teatro turco e scrivere articoli di critica di costume per un gazzettino locale. La sua stanza non è altro che un rifugio dal suo personale inverno, quella stagione della vita che lo obbliga a tirare le somme della sua esistenza. Lo aiuteranno in questo, a loro modo, la sorella, la moglie e la famiglia del paese a cui aveva dato, per interposta persona, lo sfratto. 

Nuri Bilge Ceylan scrive con la moglie la storia di una ricerca: la ricerca del senso dell’esistenza da parte di un “uomo senza qualità”, istruito, educato, ma ancora non abbastanza maturo per comprenderne fino in fondo il meccanismo. Per questo indispone, risultando a chi gli sta intorno irritante, supponente, incapace di far fronte alle proprie responsabilità (in questo ci ricorda un po’ l’Oblomov di Gončarov). Obiettivo ultimo del regista/sceneggiatore quello di mostrarci il suo percorso di crescita, costruito sul confronto con tre principali soggetti: la sorella, la moglie, il popolo. L’opera funziona soprattutto quando si concentra su quest’ultimo rapporto che, in ultima analisi, è quello che si dimostra più metaforico e interessante (anche se sulla società turca ne sappiamo poco più di prima). Non è invece ben chiara la scelta di affidare buona parte della caratterizzazione del protagonista ai rapporti che lo legano alle due figure femminili, dato che entrambe improvvisamente si eclissano, quasi senza motivo e senza valore aggiunto, dopo essere state protagoniste di lunghissimi e lapalissiani dialoghi (tutti concordi nel rimando a Čhecov). 

Siamo di fronte ad un’opera sì egregiamente diretta e recitata, ma nettamente bicefala (è uno di quei casi dove la durata complessiva non è giustificata) e ad ampi tratti ampollosa, tematicamente e dialogicamente ripetitiva, in bilico tra cinema e letteratura, film e romanzo. Per dirla con le parole di Robert Bresson: «Impossibilità di esprimere fortemente qualcosa con i mezzi congiunti di due arti. O è tutta una o è tutta l’altra». Palma d’oro a Cannes 2014. 

Voto: 3 su 5 

(Film visionato il 14 ottobre 2014)

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